Ultimo film del grandissimo regista, premiato a Venezia, duro diretto e preciso sull'argomento e sul messaggio. Uno stile che per una volta sembra voler dimenticare la cura "orientale" per immagini ed espressioni, sembra l'amato realismo italiano degli stessi anni.
Mizoguchi, trasponendo in film il romanzo "Le donne di Susaki", ci racconta di una casa di tolleranza. La vita di 5 donne, tutte con alle spalle situazioni che le costringono a quel mestiere, per vari motivi.
Con le loro storie comprendiamo le situazioni del popolino giapponese, quello che con più fatica di ogni altro cercava di uscire dal primo dopoguerra. E non dico altro. Sono storie drammaticamente meravigliose, o meravigliosamente drammatiche?, non saprei dire. Ve lo lascio godere e decidere...
Sul messaggio, di valore universale, perdonate un'anticipazione che se vogliamo è quasi banale, rasenta lo scontato. Anche il film non ci gira intorno, fin dall'inizio. Nel periodo illustrato, col Giappone ancora sotto il controllo americano (coprifuoco, governo giapponese assoggettato, alcune forzature culturali...), si discuteva in quel paese la messa fuorilegge della prostituzione e questo filo rosso percorre tutta la storia. Le donne giapponesi volevano con forza questa "merlin", ma la legge pur con continui dibattimenti non riusciva a passare.
In breve: che effetti avrebbe ottenuto la legge? E soprattutto: in che modo teneva in considerazione le "donne di vita" ed il loro futuro? Troppo spesso il legislatore non si occupa "eticamente" degli effetti sociali che le leggi "etiche" comportano.
Il film non risponde. Illustra e ritrae magnificamente.
Una cosa è sicurissima: quelle donne non hanno nulla di cui vergognarsi. Se si deve parlare di strada della vergogna, si deve anche avere il coraggio d'individuare i veri destinatari del biasimo.
Bellissimo. Con un finale di condanna superlativo.
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