Yilan, cinese di Pechino che vive negli USA, si ritrova ad ospitare il padre che non vede da molti anni. Una infanzia senza dialogo ed anche ora il dialogo fra i due stenta a decollare, nonostante è proprio quello che il padre vuole con insistenza, fino a ficcare il naso nella vita della figlia nei dettagli, particolarmente angustiato dal fatto che la figlia, separata, non trova un amore a lei adeguato che porti lui, finalmente, ad avere un nipote.
Il finale sarà una reciproca confessione e in quel momento le loro "scorze" si apriranno...
Francamente da Wayne Wang mi aspettavo qualcosa di più. Questo film è loffio, molto loffio, e non va a parare da nessuna parte. I silenzi con immagini "metaforiche" sono troppo scontati, nemmeno mi scomodo a commentarli.
Rimane l'eleganza delle immagini e dei ritratti.
Smoke e Blue in the Face sono lontani anni luce. Pazienza.
Mi ha fatto sorridere, anche se il regista sicuramente non ne aveva intenzione, l'episodio quando il vecchietto, al parco con la coetanea iraniana (un dialogo fra quasi sordi, entrambi poco pratici della lingua, divertente a tratti) sente dalla donna raccontarsi il momento in cui morì sua figlia, in Iran, durante la guerra degli 8 anni. Episodio in sé tragico, solo che non ho potuto fare a meno di pensare a quella gente che ogni volta che approfondisce un minimo la conoscenza con te a un certo punto ti spiattella addosso la sua disgrazia incurabile. Che bisogno ne hanno? Pensano di farmi (parlo personalmente) un onore o una cortesia? Anch'io ne ho, tutti o quasi ne hanno, ma ne parlo se ce n'è un motivo, un pretesto importante, non così, "tanto per"...
Anche nel film la cosa mi ha fatto un effetto tragicamente comico.
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